Effetti delle esposizioni a campi elettrici e magnetici nella gamma estremamente bassa di frequenza (ELF) (30-300 Hz)

Effetti delle esposizioni a campi elettrici e magnetici nella gamma estremamente bassa di frequenza (ELF) (30-300 Hz)

Effects of exposure to electric and magnetic fields in the extremely low frequency range (ELF) (30-300 Hz)

Effetti delle esposizioni a campi elettrici e magnetici nella gamma estremamente bassa di frequenza (ELF) (30-300 Hz)

campi elettrici e magnetici nella gamma estremamente bassa di frequenza (ELF) (30-300 Hz) sono associati prevalentemente a sorgenti artificiali, come gli apparecchi elettrici ed elettronici (elettrodotti, sottostazioni elettriche e le cabine di trasformazione ad alta, media e bassa tensione ma anche tutti gli apparecchi alimentati da energia elettrica come elettrodomestici, computer, ecc.), che ne rappresentano anche la principale fonte, fino ad arrivare a dispositivi ed apparecchiature industriali. I campi ELF sono generalmente presenti ad intensità molto bassa negli ambienti di vita, con livelli di esposizione per la popolazione generale che variano tipicamente entro range di 5-50 V/m per i campi elettrici e di 0.01-0.2 µT per i campi magnetici, mentre esposizioni più elevate e concentrate nel tempo si verificano solo in alcuni contesti occupazionali. 


Le frequenze ELF (zona in giallo)

Nell’intervallo delle basse frequenze gli elettrodotti costituiscono sicuramente la tecnologia più significativa per impatto ambientale e sanitario.

A causa della bassa frequenza con la quale l’energia elettrica è prodotta e trasportata, le linee degli elettrodotti non irradiano un campo elettromagnetico ma generano separatamente un campo elettrico e un campo magnetico. Il campo elettrico (misurato in V/m), dipende esclusivamente dalla tensione dell’elettrodotto che è dell’ordine delle migliaia di volt (KV). Per il trasporto dell’energia elettrica sono, generalmente, utilizzate le tensioni di 380.000 volt (380 KV), 220.000 volt (220 KV), 150.000 volt (150 KV) e 132.000 volt (132 KV).

Maggiore è la tensione della linea, maggiore è il campo elettrico da essa prodotto. Poiché la tensione di esercizio per ciascun tipo di linea ha un valore costante, il campo elettrico generato è costante e diminuisce molto rapidamente con la distanza dalla linea. Ad esempio, un elettrodotto di 380 KV produce il valore massimo di campo elettrico di circa 5 KV/m, ad 1 metro dal suolo ed a 10 m dall’asse della linea; tale valore si riduce a 0,8 KV/m alla distanza di 30 metri e a 0,4 KV/m alla distanza di 40 metri.

Andamento del campo elettrico dall’asse di una linea a 380 KV

Il campo magnetico generato da un elettrodotto dipende dalla corrente (Ampere) trasportata, cioè dalle condizioni di carico della linea che non sono costanti poiché sono legate alla richiesta di energia, che varia durante le ore del giorno e i periodi dell’anno. Maggiore è l’energia richiesta, maggiore è la corrente trasportata dalle linee e quindi maggiore è il campo magnetico da esse generato. Il campo magnetico, che viene espresso in termini di induzione magnetica misurata in microTesla , diminuisce anch’esso molto rapidamente con la distanza dalla linea. Ad esempio, un elettrodotto di 380 KV, nelle condizioni di massimo carico (1.500 Ampere) produce il valore massimo di campo magnetico a 1 metro dal suolo, sull’asse della linea, di circa 20 microTesla. Tale valore si riduce a 8 microTesla alla distanza di 20 metri e a 3 microTesla alla distanza di 40 metri.

Andamento del campo magnetico dall’asse di una linea a 380 KV

Si evidenzia che se la corrente trasportata dall’elettrodotto fosse zero, il che equivale alla condizione di assenza di utilizzatori della linea, anche il campo magnetico sarebbe nullo, mentre il campo elettrico manterrebbe inalterato il suo valore.
La distanza da una linea o l’allontanamento dei cavi dal suolo non è l’unico sistema a disposizione per ridurre l’intensità del campo magnetico generato da un elettrodotto. Esistono, infatti, tecniche più efficaci dell’innalzamento dei conduttori da terra, come per esempio l’ uso di configurazioni “split phases” (si tratta di una linea in cui alcune delle tre fasi vengono disposte su più conduttori, i quali di conseguenza devono sopportare un carico minore) o delle linee aeree compatte, che oltretutto consentono anche di ridurre l’impatto paesaggistico dell’elettrodotto. Tra le soluzioni tecniche individuate per la riduzione dei problemi di esposizione a campi elettromagnetici, c’è da segnalare anche l’adozione di linee elettriche a cavo interrato. L’utilizzo dei cavi interrati è ancora molto limitato e interessa in prevalenza le linee per le basse e le medie tensioni poiché si riscontrano ancora problemi sia tecnici che economici (in particolare per le linee ad altissima tensione). A differenza di quanto avviene per il campo elettrico, l’interramento dei cavi non risulta efficace per schermare il campo magnetico.
Sia il terreno che la schermatura dei cavi contribuiscono in modo efficace ad attenuare il campo elettrico, mentre per il campo magnetico il comportamento è diverso: l’induzione magnetica prodotta dai cavi assume valori ancora apprezzabili vicino la zona di posa. La possibilità di avere una induzione magnetica più bassa per la linea elettrica in cavo è dovuta alla vicinanza dei cavi stessi i quali, essendo isolati, possono essere accostati uno all’altro (cosa che non è possibile per una linea aerea). È inoltre possibile ottenere un’ulteriore riduzione disponendo i cavi non allineati normalmente tra loro, ma a triangolo. A parità di caratteristiche funzionali (tensione, portata amperometrica, numero delle fasi), il costo di un cavo interrato per linee ad alta tensione può variare, attualmente, da 3 a 10 volte in più del costo della linea aerea costituita da conduttori nudi. Ciò è dovuto sia ai lavori di posa dell’impianto interrato e sia al fatto che l’operazione prevede l’impiego di tecnologie innovative per l’isolamento dei cavi, per le quali non esiste ancora un mercato adeguato.

Gli effetti biologici

Per comprendere gli effetti biologici dei campi elettromagnetici su animali ed esseri umani occorre tener presente che in ogni organismo esistono campi elettrici e correnti elettriche di natura endogena che svolgono un ruolo in complessi meccanismi di controllo fisiologico, quali le funzioni della membrana cellulare, l’attività neuromuscolare, nonché i processi di riparazione dei tessuti. I campi magnetici statici, che non sono attenuati al passaggio nell’organismo, possono esercitare forze sulle cariche in movimento, orientare strutture magnetiche e influenzare i livelli energetici di alcune molecole. I campi elettrici statici e le ELF sono notevolmente attenuati, invece, dal passaggio all’interno del corpo. L’esposizione a ELF determina l’induzione di campi elettrici e correnti derivate nei tessuti. Le grandezze e i modelli spaziali di questi campi indotti dipendono dalla natura del campo esterno, dalle sue caratteristiche fisiche (ad es. frequenza, ampiezza, orientamento e lunghezza d’onda) e dalle dimensioni, forma e proprietà elettriche del corpo attraversato. Il campo elettrico indotto aumenta con l’intensità del campo esterno e dalle dimensioni dell’oggetto. Tipiche esposizioni residenziali inducono campi elettrici molto piccoli nei tessuti, mentre alcune esposizioni professionali a livelli elevati come il lavoro in prossimità di linee elettriche ad alta tensione, apparecchi di trasformazione e alimentatori possono generare campi elettrici anche dell’ordine di 1 mV/m in alcuni tessuti con effetti acuti a breve termine. In generale, possiamo differenziare gli effetti sulla salute degli ELF in acuti, determinati prevalentemente da esposizioni elevate di tipo professionale, ed effetti cronici a lungo termine, correlati per lo più a bassi livelli di esposizione, ovvero rilevabili sia negli ambienti di vita che di lavoro.

Mentre il meccanismo alla base degli effetti acuti indotti da elevate esposizioni a campi ELF è compreso, meno definito appare invece attualmente ancora lo stato delle conoscenze sui possibili effetti a lungo termine di bassi livelli di ELF, ovvero quelli registrati nella maggior parte degli ambienti di vita e di lavoro. Si tratta di campi magnetici ed elettrici nell’ordine di poche decine di T e V/m. Per simili livelli le ELF non sono in grado di indurre correnti e gli eventuali meccanismi patogenetici generati non sono ancora, allo stato attuale delle conoscenze, adeguatamente compresi.

I risultati complessivi degli studi sugli effetti avversi alle radiazioni ELF nell’uomo sono ancora incerti e non conclusivi e correlati alle difficoltà oggettive di effettuazione di studi controllati. Uno degli aspetti più critici è infatti la difficoltà nella stima dell’esposizione. L’esposizione ad ELF è ubiquitaria e le sorgenti sono molto diffuse, i livelli di campo possono variare in misura rilevante anche in spazi e tempi molto ristretti e non esistono sufficienti indicazioni sulle possibili latenze tra inizio dell’esposizione e gli effetti futuri: non è quindi noto per quanto tempo nel passato debba essere ricostruita una eventuale esposizione pregressa. Negli studi epide­miologici condotti finora, la valutazione della esposizione è stata spesso effettuata mediante stime indirette di tipo qualitativo (esposizione alta/bassa) e solo più di recente sono stati effettuati campionamenti prolungati e predisposte matrici di esposizione (Job Exposure Matrix-JEM) che tuttavia risentirebbero di un’elevata variabilità e disomogeneità tra gli studi.

Si riportano in sintesi nel seguito i risultati principali ad oggi disponibili:

1. Effetti sulla salute riproduttiva
Gli effetti sulla salute riproduttiva dei campi elettromagnetici in ambito professionale sono stati studiati principalmente in due settori: il comparto sanitario e il personale esposto all’uso di videoterminali. Per quest’ultimo La questione dei possibili effetti dei videoterminali (VDT) sulla gravidanza è esplosa a partire dagli anni ’80 con l’ampia diffusione dei VDT e sull’onda dell’allarmismo generato dalla notizia infondata, trasmessa dai mass-media nordamericani, che i videoterminali fossero la causa di aborti spontanei e di difetti alla nascita.

Una valutazione sistematica dei dati della ricerca è stata condotta nel 2001 sia dalla IARC (International Agency for Research on Cancer) che dall’ICNIRP (International Commission on Non-Ionizing Radiation Protection) che hanno giudicato non conclusivi i risultati della relazione tra esposizione professionale ad ELF ed effetti riproduttivi.

2. Effetti su disturbi depressivi e neurocomportamentali
Alcuni studi condotti in passato avevano posto il problema di una possibile correlazione tra esposizione professionale ad ELF e disturbi depressivi e/o mortalità per suicidio che, ad una valutazione più appro­fondita, hanno alla fine evidenziato profonde lacune metodologiche. In generale, i risultati di questi studi non fornireb­bero prove convincenti per concludere che vi sia un rapporto tra disturbi depressivi e/o mortalità per suicidio ed esposizione a campi ELF.

3. Malattie neurodegenerative
Diversi studi epidemiologici hanno evidenziato un lieve aumento del rischio di malattia dì Alzheimer, di Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) e di Morbo di Parkinson in relazione alla esposizione occupazionale ad ELF. I dati epidemiologici disponibili sono, tuttavia, poco consistenti per alcune carenze metodologiche, principalmente dovute alla rarità di queste patologie ed ai possibili bias  (distorsione) di selezione.  Complessivamente si può concludere che i risultati della ricerca epidemiologica sulla relazione tra esposizione ad ELF e rischio di malattie neurodegenerative, in particolare SLA, morbo di Azheimer e Parkinson, sono spesso contrastanti per confermare una associazione di tipo causale, ma sufficienti per giustificare la necessità di ulteriori studi con metodi più rigorosi, evitando possibili bias di selezione.

4. Effetti sul sistema endocrino
Prove di scatenamento condotte in condizioni sperimentali rigorose di laboratorio non hanno mai dimostrato un rapporto causa effetto tra ELF e comparsa di sintomi in tale ambito.

5. Effetti cardiovascolari
Alcuni studi epidemiologici hanno valutato il rapporto tra rischio cardiovascolare ed esposizione ad ELF, indicando un aumento della irregolarità della frequenza cardiaca di disturbi del ritmo in lavoratori esposti, ma non un aumento significativo per malattie car­diovascolari. Ma uno studio di mortalità su una coorte di 83997 lavoratori per il periodo 1973-1997 e una sub-coorte di 79972 lavoratori per il periodo 1971-1993 che ha valutato le seguenti cause di morte: aritmie, infarto miocardico acuto, aterosclerosi, malattia coronarica cronica e altre malattie circolatorie, ha dato risultati complessi­vamente negativi. Così, nonostante le iniziali associazioni riportate nei primi studi epidemiologici, i risultati di studi più recenti tendono invece ad attribuire un ridotto rischio per malattie cardiovascolari, anche se vi è da considerare che la metodologia è spesso poco accurata.

6. Associazione con il cancro
Effetti nei bambini
Dalla prima segnalazione pubblicata da Whertheimer e Leeper nel 1979 sulla associazione tra leucemia infantile ed esposizione a deboli campi magnetici nei residenti in vicinanza di linee dell’alta tensione, sono stati prodotti decine di altri studi, sempre più sofisticati, oltre a numerose revisioni sistematiche della letteratura, meta-analisi e due recenti analisi su dati aggregati che fornirebbero un certo sostegno a questa associazione. In una prima analisi aggregata basata su nove studi molto rigorosi, non è stato osservato alcun eccesso di rischio per esposizioni ad ELF sotto i 0,4 µT, mentre un eccesso di rischio doppio è stato rilevato per esposizioni sopra i 0,4 µT. La seconda analisi aggregata comprendeva 15 studi basati su criteri di inclusione meno restrittivi ed utilizzando 0,3 µT come valore di cut-point più elevato, riportando un rischio relativo di 1.7 per esposizioni sopra i 0,3 µT.  Infine, una valutazione complessiva dei dati disponibili fino al 2002 ha portato la IARC a classificare i campi ELF come possibili cancerogeni (gruppo 28) sulla base delle significative associazioni documentate in diversi studi tra i livelli di esposizione residenziale più elevati e l’aumen­to del rischio di leucemie infantili. Nessuna consistente associazione è stata invece osservata ad oggi in studi su tumori cerebrali infantili ed ELF residenziali. Tuttavia, questi studi sono generalmente più piccoli e di qualità inferiore.
Effetti negli adulti
Nell’ambito dell’esposizione residenziale, nonostante sia disponibile un certo nume­ro di studi epidemiologici sulla relazione tra cancro nell’adulto ed esposi­zione residenziale ad ELF. incluso l’utilizzo di elettrodomestici, i risultati relativi ed i dati prodotti risultano incerti e metodologicamente limitati, in quanto nessuno degli studi effettuati ad oggi ha previsto misure a lungo termine o dosimetrie personali. Nonostante il numero considerevole di studi, non esistono dati convincenti a supporto di un ‘associazione consistente tra esposizione residenziale a campi ELF e leucemia o tumori cerebrali negli adulti . Per il cancro al seno ed altri tumori i dati disponibili non sono sufficienti a certificare un’evidente associazione con l’esposizione a campi ELF.

(fonti:

“Campi elettromagnetici” – Confessore, Ferraro, Giannandrea, Masina, Purini – Ed. EPC 2017

“Manuale ambiente 2017 – Ed. IPSOA MANUALI HSE)

Ing. Fabio Di Matteo – ZED PROGETTI srl

Electric and magnetic fields in the extremely low frequency range (ELF) (30-300 Hz) are mainly associated with artificial sources, such as electrical and electronic equipment (electrical lines, substations and high, medium and low voltage transformer cabins, but also all electrical appliances such as household appliances, computers, operating machines, etc.), which are also their main source, and industrial devices and equipment. ELF fields are generally present at very low intensity in living environments, with exposure levels for the general population ranging typically within the range of 5-50 V/m for electric fields and 0.01-0.2 µT for magnetic fields, while higher and more concentrated exposures over time occur only in some occupational contexts.

In order to understand the biological effects of electromagnetic fields on animals and humans, it should be borne in mind that there are electric fields and electric currents of endogenous nature in every organism that play a role in complex physiological control mechanisms, such as cell membrane functions, neuromuscular activity and tissue repair processes. Static magnetic fields, which are not attenuated when passing through the body, can exert forces on moving charges, orient magnetic structures and influence the energy levels of certain molecules. Static electric fields and ELFs are considerably attenuated by the passage inside the body. Exposure to ELF causes induction of electric fields and derived currents in tissues. The quantities and spatial patterns of these induced fields depend on the nature of the external field, its physical characteristics (e. g. frequency, amplitude, orientation and wavelength) and the size, shape and electrical properties of the crossed body. The induced electric field increases with the intensity of the external field and object size. Typical residential exposures lead to very small electrical fields in tissues, while some professional exposures to high levels such as working close to high-voltage power lines, converters and power supplies can generate electric fields of up to 1 mV/m in some tissues with acute short-term effects. In general, we can differentiate the health effects of ELFs into acute effects, mainly due to high occupational exposures, and chronic long-term effects, mostly related to low exposure levels, i. e. detectable in both living and working environments.

While the mechanism underlying the acute effects induced by high ELF exposure is understood, the less defined mechanism is currently still known about the possible long-term effects of low ELF levels in most living and working environments. These are magnetic and electric fields in the order of a few tens of T and V/m. At such levels ELFs are not able to induce currents and the pathogenic mechanisms generated are not at present adequately understood.

The overall results of studies on ELF adverse effects in humans are still uncertain and inconclusive and related to objective difficulties in conducting controlled studies. One of the most critical aspects is the difficulty in estimating exposure. Exposure to ELF is ubiquitous and sources are widespread, field levels can vary significantly even in very tight spaces and timescales and there are not enough indications of possible latencies between the beginning of exposure and future effects: it is therefore not known for how long a previous exposure should be reconstructed in the past. In the epidemiological studies conducted so far, exposure assessment has often been carried out by means of qualitative indirect estimates (high/low exposure) and only more recently prolonged sampling and exposure matrices (Job Exposure Matrix-JEM) have been carried out, which however would be affected by high variability and non-homogeneity between studies.

The main results available to date are summarised below:

1. Reproductive health effects

The reproductive health effects of electromagnetic fields in the professional environment have been studied mainly in two areas: the health sector and personnel exposed to the use of video terminals. For the latter, the question of the possible effects of video terminals (VDT) on pregnancy has exploded since the 1980s with the widespread spread of VDT and on the wave of alarmism generated by unfounded news, transmitted by the North American media, that video terminals were the cause of spontaneous abortions and birth defects.

A systematic evaluation of research data was carried out in 2001 by both IARC and ICNIRP, which considered the results of the relationship between occupational ELF exposure and reproductive effects to be inconclusive.

2. Effects on depressive and neurobehavioral disorders

Some studies conducted in the past have raised the issue of a possible correlation between occupational ELF exposure and depressive disorders and/or suicide mortality, which, at a more in-depth evaluation, have eventually revealed major methodological gaps. In general, the results of these studies would not provide convincing evidence to conclude that there is a relationship between depressive disorders and/or mortality by suicide and exposure to ELF fields.

3. Neurodegenerative diseases

Several epidemiological studies have shown a slight increase in the risk of Alzheimer’s disease, Amyotrophic Lateral Sclerosis (ALS) and Parkinson’s disease in relation to occupational ELF exposure. However, the epidemiological data available are not very substantial for some methodological deficiencies, mainly due to the rarity of these pathologies and possible biases (distortion) of selection. Overall, it can be concluded that the results of epidemiological research on the relationship between exposure to ELF and the risk of neurodegenerative diseases, in particular SLA, Azheimer’s disease and Parkinson’s disease, are often conflicting to confirm a causal association, but sufficient to justify the need for further studies with more rigorous methods, avoiding possible selection biases.

4. Effects on the endocrine system

Trials of triggering under strict experimental laboratory conditions have never shown a causal relationship between ELF and onset of symptoms in this area.

5. Cardiovascular effects

Epidemiological studies have evaluated the relationship between cardiovascular risk and ELF exposure, indicating an increase in irregular heart rate of rhythm disorders in exposed workers, but not a significant increase for cardiovascular disease. But a mortality study on a cohort of 83997 workers for the period 1973-1997 and a sub-coort of 79972 workers for the period 1971-1993 which assessed the following causes of death: arrhythmias, acute myocardial infarction, atherosclerosis, chronic coronary heart disease and other circulatory diseases, gave overall negative results. Thus, despite the initial associations reported in the first epidemiological studies, the results of more recent studies tend to attribute a reduced risk for cardiovascular disease, even if it is to be considered that the methodology is often inaccurate.

6. Association with Cancer

Effects in children
Since the first report published by Whertheimer and Leeper in 1979 on the association between childhood leukaemia and exposure to weak magnetic fields in residents near high-voltage lines, dozens of other, increasingly sophisticated studies have been produced, as well as numerous systematic literature reviews, meta-analyses and two recent analyses on aggregated data that would provide some support to this association. In a first aggregate analysis based on nine very rigorous studies, no excess risk was observed for ELF exposures below 0.4 µT, while an excess double risk was detected for exposures above 0.4 µT. The second aggregate analysis included 15 studies based on less restrictive inclusion criteria using 0.3 µT as the highest cut-point value, giving a relative risk of 1.7 for exposures above 0.3 µT. Finally, an overall assessment of the data available up to 2002 led IARC to classify ELF fields as possible carcinogens (group 28) on the basis of the significant associations documented in several studies between higher residential exposure levels and increased risk of childhood leukaemia. No consistent association has been observed to date in studies on childhood brain tumours and residential ELFs. However, these are generally smaller and have an inferior quality.

Effects in adults
In residential exposure, although a number of epidemiological studies on the relationship between adult cancer and residential ELF exposure are available. including the use of household appliances, the relative results and data produced are uncertain and methodologically limited, as none of the studies carried out to date have foreseen long-term measurements or personal dosimetry. Despite the considerable number of studies, there is no convincing evidence to support a consistent association between residential ELF field exposure and leukemia or brain tumours in adults. For breast cancer and other cancers, the available data are not sufficient to certify a clear association with ELF field exposure.