Stintino (Sassari) – le origini architettoniche ed urbanistiche di un borgo di pescatori

Stintino (Sassari) – le origini architettoniche ed urbanistiche di un borgo di pescatori

STINTINO (SASSARI - ITALY) - THE ARCHITECTURAL AND URBAN ORIGINS OF A FISHING VILLAGE

Stintino (Sassari) – le origini architettoniche ed urbanistiche di un borgo di pescatori

La formazione del villaggio di Stintino è opera relativamente recente e la sua popolazione proviene da una comunità preesistente formatasi  nell’isola dell’Asinara, da cui venne evacuata per costituirvi una colonia penale nel 1885. È quindi dall’Asinara che vanno ricercate le “matrici architettoniche”, degli attuali abitanti di  Stintino, figli e nipoti degli “scacciati” dall’isola.

I più antichi abitatori dell’isola (intendiamo riferirci agli ultimi anni del 1700, perché l’isola fu comunque sempre abitata saltuariamente) erano gruppi di pastori del sassarese che, pur avendo una casa a Sassari o nei dintorni, risiedevano nel’isola per l’allevamento del bestiame, vivendo in misere capanne. Espulsi dall’isola per un tentativo di colonizzazione, vi ritornarono dopo il suo fallimento e vi si stabilirono definitivamente, dedicandosi anche all’agricoltura e costruendovi, talora sparse ma più spesso in piccoli villaggi (Cala Reale, Fornelli) le loro case, la cui struttura chiarisce quale fosse l’organizzazione dello spazio in rapporto alle loro abitudini di vita. Riferisce il Casalis che le case pastorali sono come quelle della Nurra per lo più a tre divisioni in piano terreno: una pèl foco­lare in mezzo al suolo, sul quale vedesi sospeso un grati­colato di canne in cui tienesi il formaggio ad affumicare, e dove vi dormono sulle stuoie, intorno ai tronchi che bru­ciano, i servi ed anche i padroni nell’inverno, l’altra divi­sione è per magazzino dove conservansi i formaggi, le pelli di lana e il grano, altre provvigioni e gli arnesi, sia della pastorizia che dell’agricoltura; la terza serve di abitazione per li padroni e per gli ospiti, quando ve ne abbiano, riti­randosi allora la famiglia o nel magazzino o nella stanza del fuoco.”

Tale dimore rurali erano anche denominate “li cuili”. Il termine “cuile” (ovile) ricorda l’origine della casa, collegata con l’attività pastorale.


Fig.1

Nel mare circostante, ricco di ogni varietà di fauna ittica e di banchi coralliferi,  vennero poi ad operare pescatori di Camogli (Genova – ancora oggi sono frequenti in quest’area i cognomi liguri di Schiaffino, Mortola, Assaretti – o Assereto, Denegri, Maggiolo – o Majuolo o Magiolo, Valle, Caravagna, Dellacà) e di Torre del Greco, questi ultimi dediti prevalentemente alla pesca del corallo. Questi pescatori cominciarono a frequentare l’isola dapprima per ripararsi nei momenti di tempesta, poi durante tutto il periodo stagionale di pesca e infine vi si stabilirono definitivamente. Aggregandosi ad alcune famiglie locali diedero vita a Cala d’Oliva, ad una piccola comunità di pescatori che raggiunse una ventina di famiglie dopo successive immigrazioni che interessarono talvolta pescatori Campani, provenienti dalle isole di Pro­cida, Ponza e Resina, che si dedicavano prevalentemente alla pesca del pesce azzurro.

Il 25 Giugno 1885 il Governo Italiano decise quindi di costruire a Cala Reale il “primo lazzaretto del Regno d’Italia”, una stazione internazionale di quarantena che doveva servire per difendere la vicina Sardegna dalla malattie che i naviganti portavano dal bacino del Mediterraneo (sopratutto colera e peste) e una Colonia Penale Agricola all’aperto a Cala D’Oliva, quella colonia penale che dal 1970, fino al 1998, anno della sua chiusura, è stata trasformata un carcere di massima sicurezza.

Prima dello sfratto del 15 agosto dello stesso anno, due facoltosi fratelli sassaresi, Salvatore e Cristoforo Murtola, perorano la causa dei pescatori ottenendo un indennizzo di 750 lire per ogni famiglia ed acquisendo un terreno nell’area dell’attuale sito per far sorgere il nuovo borgo col nome iniziale di Cala Savoia. L’area si trovava su una stretta penisola fra due bracci di mare (ora porto vecchio/porto Minori e porto nuovo/porto Mannu) che prese poi il nome di isthintìnu o sthintìnu, dal termine sassarese “intestino o budello”, poi italianizzato in Stintino.

La popolazione venne perciò allontanata dall’isola: la maggior parte dei pastori si stabili nella Nurra o a Porto Torres, mentre per i pescatori liguri e sardi, che abitavano a Cala d’Oliva, si insediarono nelle baracche della Tonnara Saline, in attesa che sorgessero le nuove abitazioni a Stintino.
Le esigenze e le difficoltà che emersero nei primi tempi dell’insediamento sul nuovo territorio richiesero la solidarietà e la partecipazione di tutte le famiglie che si associarono nella “Comunione dei 45” (45 era appunto il numero delle famiglie) che si adoperò perché ogni atto del nuovo villaggio fosse improntato alla giustizia per tutti: Il terreno fu equamente diviso e attribuito per sorteggio ad ogni famiglia; a ciascuna venne fornito un lotto di 400 metri, su cui sorsero, uguali, anche le strutture abitative, che ricordavano le vecchie abitazioni dell’Asinara, erano infatti ad un solo piano e divise in tre vani, dietro ogni casa c’era l’orto per gli ortaggi di uso quotidiano e nel cor­tile la macina per i cereali. Si riprende spesso, in particolare, la forma del “cuile” del tipo lineare a doppio timpano:


Fig.2

Per le murature vennero utilizzati  “scapoli” di calcare, scisto o talvolta trachite, raccolti sui campi durante le operazioni di spietramento. Si trovano anche murature realizzate con blocchi regolari di tufo. I muri risultavano intonacati e tinteggiati di bianco o rosso-argilla.
La copertura dei tetti era in tegole curve o del tipo marsigliese, sostenute dai muri portanti longitudinali e talvolta trasversali; questi ultimi presentavano un ruolo statico più importante in quanto sostengono la trave principale di colmo. Internamente era presente un controsoffitto nelle sole camere da letto, con incannicciato intonacato nella parte sottostante. L’orditura primaria era realizzata incastrando sul colmo dei due timpani una trave, generalmente un tronco di ginepro, essenza molto resistente, inattaccabile dagli insetti e molto diffusa nella zona; successivamente veniva realizzata anche in abete o con altre essenze più economiche. Anche l’orditura secondaria veniva inizialmente eseguita con legni di ginepro e successivamente anche con altri legni posti di coltello tra la trave principale e i muri laterali. Un’incannicciata o una serie di elementi in abete disposti orizzontalmente fungevano da supporto per le tegole.

 
Fig.3- tipologie originarie ancora presenti


Fig.4- tipologie originarie ancora presenti


Fig.5- tipologie originarie ancora presenti

Tutte le case, data la forma allungata del territorio su cui erano costruite, erano situate in posizioni che consentivano di avere il mare ben in vista (così ai pescatori bastava aprire la finestra per rendersi conto dello stato del tempo e del mare) e si affacciavano su strade piuttosto ampie, che consentissero di stendervi le reti per asciugarle e ripararle.

Nel complesso, un’architettura semplice, decorosa e funzionale.


Fig.6 – Mappa di Stintino – 1903


Fig.7 – Mappa di Stintino – 2019


Fig.8 – Stintino – primi del ‘900


Fig.9 – Stintino – primi del ‘900


Fig.10 – Stintino – primi del ‘900


Fig.11 – Stintino – primi del ‘900

F
Fig.12 – Stintino – metà del ‘900

La storia di Stintino si incrocia poi con l’insediamento a Porto Torres, nel 1961, del complesso industriale petrolchimico, il suo effetto di disgregazione del settore primario non incentivato (attorno agli anni ’70, delle 80 unità occupate nel settore ittico negli anni ’50 ben 50 avevano già abbandonato la pesca) ed al progressivo spostamento verso l’attività turistica con le tipiche fasi connesse agli andamenti dell’interesse economico sull’area che possiamo così sinteticamente riassumere:

  1. sollecitazione di crescita degli insediamenti turistici anche come fenomeno indotto dall’indu­strializzazione del “polo” di Porto Torres
  2. tendenza alla lievitazione generale dei prezzi dei terreni in tutto il territorio, con richiamo dell’interesse di grosse società immobiliari, che dopo aver ac­quistato a basso prezzo grandi appezzamenti di terreno incolto vi operano una redditizia speculazione trasformandolo in aree fabbricabili. Operazione che avvantaggiava, prevalentemente, gruppi continentali.
  3. inserimento degli operatori locali e dei abitanti nella stessa Stintino che molto spesso, sperando di poter affittare camere nella stagione estiva, per ingrandire e riaggiustare la casa vendevano il piccolo appezzamento di terreno che avevano avuto in dotazione al momento della fondazione del villaggio, con ulteriore perdita di territorio e di valenza della proprietà locale.
  4. difficoltà connesse alla tipologia iniziale di turismo instauratasi: da una parte un turismo d’élite che si insedia nella zona di Capofalcone a cui si accede tramite una nuova ampia strada tracciata in modo da lasciare completamente fuori Stintino e di cui si utilizza solo eccezionalmente le risorse e la manodopera, dall’altra il “turismo della domenica” che gremisce solo nei giorni festivi la spiaggia della “Pelosa”, praticato da ceti sociali con bassa capacità di spesa.
  5. successiva affermazione di canali di afflusso di un turismo di massa con capacità di spesa maggiore connesso ad un incremento della sostenibilità economica della vocazione turistica locale anche in termini di completamento della relativa conversione, per naturale ricambio generazionale, della popolazione attiva con perdita delle capacità e conoscenze nel settore economico originario.

Tale situazione si è tradotta, come peraltro nella quasi totalità dei borghi in Italia, in una modificazione della configurazione architettonica dell’abitato con saturazione degli spazi e singolarità di interventi di ristrutturazione “affettuosa” delle residenze per lo più attuato nel tempo senza una visione generale di assetto architettonico-urbanistico.

Ad oggi si osserva, infatti, la coesistenza nella quinta urbana di esempi di conservazione forzata per abbandono oppure di ristrutturazione virtuosa attenta alla conservazione originaria (almeno per le parti esterne) con altri interventi in cui, sebbene le finalità perseguite siano state sicuramente orientate al miglioramento del bene, l’effetto che si è venuto a creare è però una perdita progressiva degli stilemi originari ed un’introduzione di tipologie di elementi spesso avulsi o completamente fuori contesto. 


Fig.13 – Edificio in attesa di ristrutturazione


Fig.14 – Ristrutturazione “non invasiva”

La piccola scala consente una lettura chiara e mette in evidenza i contrasti. Ne sono esempi sia singoli componenti edilizi, introdotti certamente con le migliori intenzioni come migliorativi per le loro caratteristiche di durabilità, di resistenza, vivibilità, sperimentazione progettuale ma che, di fatto, nulla hanno a che fare con la configurazione originaria del manufatto edilizio quali ringhiere in alluminio, balaustre a colonnine, sistemi oscuranti a tapparella in PVC, ornamenti di stipiti ed architravi, sia elementi architettonici ad archetto ed a logge, scelte di cromatismi per le facciate o rivestimenti a tessere ceramiche fuori contesto, sino all’introduzione di tipologie strutturali “estranee” in cemento armato o miste muratura – cemento armato.


Fig.15 – Elementi architettonici a bassa compatibilità con il contesto


Fig.16 – Elementi architettonici a bassa compatibilità con il contesto


Fig.17 – Elementi architettonici a bassa compatibilità con il contesto


Fig.18 – Elementi architettonici a bassa compatibilità con il contesto


Fig.19 – Elementi architettonici a bassa compatibilità con il contesto


Fig.20 – Elementi architettonici a bassa compatibilità con il contesto

In termini meramente commerciali, l’impostazione di conservazione del “genius loci” è sicuramente uno degli aspetti fondamentali per un’area che vuole dedicarsi alla destinazione turistica senza depauperare irrimediabilmente le risorse del proprio territorio e tale condizione si inserisce anche nella tematica più ampia del concetto di evoluzione architettonica dei centri urbani. Si evidenzia però anche in modo chiaro la necessità di una reale e costante azione di controllo e coordinamento delle Amministrazioni locali, insieme agli Enti preposti, per garantire uno sviluppo corretto che sia sempre rispettoso delle origini delle comunità locali, della corretta integrazione con l’espressione architettonica ed urbanistica primigenia e, più in generale, del bene pubblico.

Fonti
https://www.openstarts.units.it/bitstream/10077/11932/1/Brundu.pdf
Università degli Studi di Sassari – EDIFICI RURALI TRADIZIONALI DEL NORD SARDEGNA METODOLOGIA DI CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA.” – Dottorato di Ricerca – Angela Idda
“Villaggi di pescatori in Sardegna – Disgregazione e rurbanizzazione” – Gabriella Mondarini – Ed. Iniziative Culturali

Ing. Paolo Croce- ZED PROGETTI srl

The constitution of the village of Stintino (Sassari – Italy) is relatively recent and its population comes from a pre-existing community formed on the island of Asinara, from which it was evacuated to form a penal colony in 1885. It is therefore from Asinara that the “architectural matrices” of the current inhabitants of Stintino, sons and grandchildren of the “driven” from the island, must be sought.
The oldest inhabitants of the island (we intend to refer to the last years of 1700, because the island was always inhabited occasionally) were groups of shepherds of Sassari who, despite having a house in Sassari or nearby, resided on the island for the breeding of livestock, living in poor huts. Expelled from the island for an attempt at colonization, they returned there after its failure and settled permanently, devoting themselves to agriculture and building there, sometimes scattered but more often in small villages (Cala Reale, Fornelli) their homes, whose structure clarifies what was the organization of space in relation to their habits of life. The Casalis reports that “the pastoral houses are like those of the Nurra, mostly with three divisions on the ground floor: a hearth in the middle of the ground, on which I saw suspended a grid of reeds in which they kept the cheese to smoke, and where they sleep on mats, around the trunks that burn, the servants and also the masters in winter, the other division is for storage where they keep the cheeses, the skins of wool and wheat, other supplies and tools, both of sheep farming and agriculture; the third serves as a dwelling for the owners and guests, when they have them, then withdrawing the family or in the warehouse or in the room of fire.”
Such rural dwellings were also called “li cuili”. The term “cuile” (sheepfold) recalls the origin of the house, connected with pastoral activity.
In the surrounding sea, rich in every variety of fish fauna and coral reefs, fishermen from Camogli (Genoa – still frequent in this area are the Ligurian surnames of Schiaffino, Mortola, Assaretti – or Assereto, Denegri, Maggiolo – or Majuolo or Magiolo, Valle, Caravagna, Dellacà) and Torre del Greco, the latter mainly dedicated to coral fishing. These fishermen began to frequent the island first to shelter in times of storm, then during the entire season of fishing and finally settled there permanently. Aggregating with some local families, they created Cala d’Oliva, a small fishing community that reached about twenty families after successive migrations that sometimes involved fishermen from Campania, coming from the islands of Procida, Ponza and Resina, who dedicated themselves mainly to the fishing of blue fish.
On June 25, 1885 the Italian Government decided to build in Cala Reale the “first leper hospital of the Kingdom of Italy”, an international quarantine station that was to serve to defend nearby Sardinia from diseases that sailors brought from the Mediterranean basin (especially cholera and plague) and an open-air agricultural penal colony in Cala D’Oliva, that penal colony that from 1970, until 1998, the year of its closure, was transformed into a maximum security prison.
Before the eviction of August 15 of the same year, two wealthy brothers from Sassari, Salvatore and Cristoforo Murtola, pleaded the cause of the fishermen obtaining compensation of 750 lire for each family and acquiring land in the area of the current site to build the new village with the initial name of Cala Savoia. The area was located on a narrow peninsula between two arms of the sea (now Porto Vecchio / Porto Minori and Porto Nuova / Porto Mannu) which then took the name of “isthintìnu” or “sthintìnu”, then Italianized in Stintino.
The population was therefore removed from the island: most of the shepherds settled in Nurra or Porto Torres, while for the Ligurian and Sardinian fishermen, who lived in Cala d’Oliva, settled in the huts of Tonnara Saline, waiting for the new houses to rise in Stintino.

The needs and difficulties that emerged in the early days of the settlement on the new territory required the solidarity and participation of all families who joined in the “Communion of 45” (45 was precisely the number of families) that worked to ensure that every act of the new village was marked by justice for all: The land was equally divided and assigned by draw to each family, each was provided with a plot of 400 meters, on which rose, equal, even the housing structures, which reminded the old houses of Asinara, were in fact only one floor and divided into three rooms, behind each house was the garden for vegetables for daily use and in the courtyard the millstone for cereals.

In particular, the shape of the “cuile” of the linear double tympanum type is often taken up again.
For the walls were used limestone, schist or sometimes trachyte, collected on the fields. There are also walls made of regular blocks of tuff. The walls were plastered and painted with white or red-clay.
The roofs were covered with curved tiles or Marseillaise tiles, supported by longitudinal and sometimes transverse load-bearing walls; the latter played a more important static role as they supported the main ridge beam. Inside there was a false ceiling in the bedrooms only, with plastered incannicciato below. The primary frame was made by fitting a beam on the ridge of the two tympanums, generally a trunk of juniper, a very resistant essence, resistant to insects and very widespread in the area; later it was also made of fir or other cheaper essences. Even the secondary warping was initially carried out with juniper wood and then also with other wood places knife between the main beam and the side walls. An incannicciata or a series of horizontally arranged spruce elements served as support for the tiles.
All the houses, given the elongated shape of the territory on which they were built, were located in positions that allowed the sea to be seen well (so fishermen just had to open the window to see the state of time and the sea) and overlooked fairly wide roads, which would allow you to lay the nets to dry and repair them.
Overall, the architecture was simple, decent and functional.

The history of Stintino then intersects with the settlement in Porto Torres, in 1961, of the petrochemical industrial complex, its effect of disintegration of the primary sector not encouraged (around the ’70s, of the 80 units employed in the fisheries sector in the ’50s had already abandoned fishing) and the progressive shift to tourism with the typical phases related to the trends of economic interest in the area that can be summarized as follows:
– solicitation of growth of tourist settlements also as a phenomenon induced by the industrialization of the “pole” of Porto Torres
– a tendency towards a general rise in land prices throughout the territory, with an appeal to the interest of large real estate companies, which after buying large plots of uncultivated land at a low price, are making profitable speculation by transforming it into building areas. This operation mainly benefited continental groups.
– attempt to enter the business by local operators and inhabitants in the same Stintino that very often, hoping to be able to rent rooms in the summer season, to enlarge and refit the house sold the small plot of land that had been provided at the time of the founding of the village, with further loss of land and value of the local property.
difficulties related to the initial type of tourism established: on the one hand an elite tourism that settles in the area of Capofalcone which is accessed via a new wide road traced so as to leave completely outside Stintino and which is used only exceptionally resources and labor, on the other hand the “Sunday tourism” that fills only on holidays the beach of “Pelosa”, practiced by social classes with low spending capacity.
– progressive affirmation of channels of inflow of a mass tourism with greater spending capacity connected to greater economic sustainability of the tourist vocation also in terms of completion of the relative conversion, for natural generational change, of the active population with loss of skills and knowledge in the original economic sector.
This situation has resulted, as in almost all the villages in Italy, in a modification of the architectural configuration of the town with singularity of “affectionate” restructuring of the residences mostly implemented over time without a general vision of architectural context-urban.
Today we can observe the coexistence in the urban fifth between examples of forced conservation due to abandonment or virtuous restructuring attentive to the original conservation (at least for the external parts) with other interventions in which, although the aims pursued have certainly been oriented to the improvement of the good, the effect that has been created is however a progressive loss of the original stylistic features and an introduction of types of elements often removed or completely out of context.
Examples of this are both individual building components, certainly introduced with the best of intentions as improvements for their characteristics of durability and resistance, but which, in fact, have nothing to do with the original configuration of the building such as aluminum railings, balustrades with columns, PVC shuttering systems, architectural elements with arches and loggias, choices of colors for the facades or ceramic tile coverings out of context, introduction of structural types of reinforced concrete or mixed masonry – reinforced concrete.

In purely commercial terms, the conservation of the “genius loci” is certainly one of the fundamental aspects for an area that wants to dedicate itself to the tourist destination without irreparably depleting the resources of its territory and this condition is also part of the broader theme of the concept of architectural evolution of urban centers. However, it is also clear that there is a need for real and constant monitoring and coordination of local administrations, together with the relevant authorities, to ensure proper development that is always respectful of the origins of local communities, the proper integration with the architectural and urban expression primeval and, more generally, the common good.