DETTAGLIO URBANO: la “vedovella” di Milano in giro per l’Italia

DETTAGLIO URBANO: la “vedovella” di Milano in giro per l’Italia

URBAN DETAIL: Milan's "widow" around Italy.

DETTAGLIO URBANO: la “vedovella” di Milano in giro per l’Italia

Spesso il dettaglio è più significativo dell’insieme. E’ nel particolare che infatti in genere si ritrova la “mano” del progettista e la sua cura è, parimenti, indice della professionalità di chi ha dovuto tradurre in opera il disegno e di chi ha controllato che questo avvenisse.
Questa impostazione si trova in tutte le espressioni dell’architettura e anche in quella, purtroppo a torto considerata minore, dell’arredo urbano. Eppure la sua presenza, la cura nella sua definizione, nella corretta localizzazione e contestualizzazione come finanche la sua conservazione nel tempo è forse anche più significativa, in quanto opera rivolta indistintamente a tutti, del livello di civiltà e di coesione di una comunità.
L’arredo urbano presenta il luogo e la sua storia, aiuta a caratterizzarne l’essenza attribuendogli un’impronta familiare ripetitiva e strettamente peculiare. E’, da un certo punto di vista, il fattore riunificante di un disegno urbano già troppo spesso disarticolato e caotico, schiacciato tra gli estremi di una conservazione immobile “reazionaria” da una parte e da una “anarchia” stilistica dall’altra, sintomo, in fondo, di una incapacità intrinseca di governare l’espressione nell’ambito di una corretta conservazione del genius loci.
L’arredo urbano diventa così un di più, quasi un fastidio che “bisogna dare” e che, soprattutto, costituirà una ulteriore voce di costo aggiuntiva nel bilancio dell’Amministrazione locale in relazione alla sua manutenzione rispetto al tempo e alle azioni vandaliche. Una cosa inutile e a perdere. Un po’ come il verde pubblico. Un fastidio necessario per non trovarsi contro i voti degli ambientalisti radicali e di chi sente l’energia negli alberi.
In tal senso la progettazione dell’arredo urbano diventa sempre più trascurata, sbilanciata tra un totale disinteresse ed un utilizzo di materiali al minor prezzo con scelta affidata all’impresa esecutrice verso il massimo ribasso oppure, per contro, all’affidamento a design ultra costosi (oppure a loro copie…) ma totalmente alieni al luogo in cui vengono posti. In una sorta di globalizzazione universale che, in entrambi i casi, diventa, in realtà, estraneazione. Perché essere in un luogo che sembra qualsiasi è, di fatto, come non stare in nessun luogo.
Queste considerazioni nascono dal ritrovare, camminando sul lungomare di Alba Adriatica in provincia di Teramo – Abruzzo, una solitaria (ed a dire il vero un po’ bistrattata con un rubinetto anonimo da giardino e monca della sua pigna di coronamento) “vedovella” di Milano  (foto seguente)

Ma anche a Teramo – città presso la Piscina Comunale (foto seguente).

Ed un ritrovamento similare anche nella piazza di Bogliasco, in provincia di Genova – Liguria, pure questa non in migliori condizioni (foto seguente).

Ed addirittura anche nell’Isola di Capraia – Toscana (foto seguente).

Bel lontana dal suo contesto, questa altro non è però, invece, che la tipica fontanella civica di acqua pubblica della città lombarda. Nasce infatti da una ricerca di standardizzazione e tipicizzazione introdotta nel 1931-1932 e forse su un modello dell’Arch. Luca Beltrami.

Di certo la prima “vedovella” venne posizionata in Piazza della Scala intorno al 1890, quando si realizza la rete dell’acquedotto in quella zona su progetto di Felice Poggi, ingegnere del Comune di Milano. Ancora presente, è realizzata in ottone dorato contornata al basamento da una greca in mosaico e dai cui scorga acqua attraverso una bocca di drago ispirata da uno dei doccioni del Duomo.
Le fontanelle standardizzate di Milano sono invece in ghisa, alte circa 1,50 m e larghe 0,50 m. Sono composte da una torretta a base quadrata, sormontata da un capitello con rilievi a forma di foglia stilizzata e terminante con un elemento a pigna. Alla base sono munite di una bacinella a forma semicircolare che serviva per abbeverare gli animali. Il nome di “vedovella” proviene, infatti, proprio dal filo d’acqua che sgorga dal rubinetto in ottone a forma di drago in modo continuo, simile al pianto perenne di una vedova inconsolabile. Dipinte di verde e con lo stemma di Milano saldato, spesso vengono anche chiamate, con riferimento al citato rubinetto, con il nome di “drago verde”. 

Quindi, propriamente, non sono munite di rubinetto ma di una bocchetta di ottone a getto d’acqua continuo dell’acqua come, ad esempio, i “Nasoni” a Roma oppure i “Toret” a Torino o i “Bronzini” a Genova (questi invece in genere con dispositivo di chiusura). E come loro ne sono il simbolo della città.

Bisogna allora di nuovo ritrovare, a parere dello scrivente, il gusto di una progettazione architettonica di dettaglio che sappia ricreare una coesione e l’essenza propria del contesto, ritrovare il gusto e, perché no, anche l’obbligo, per il concetto di decoro, non come visione “moralistica” fine a se stessa ma come elemento unificante, caratterizzante il luogo. E, nello specifico, quel luogo, la sua individualità, il suo stile e, di riflesso, la peculiarità della comunità che lo vive.

Fonti:
http://img.trk.comune.milano.it/static/105044/assets/2/MANUALE%20ARREDO%20URBANO_SCHEDE%20(1).pdf
https://www.oppo.it/disegni/fontanella_milano.html
https://asiloisola.wordpress.com/2016/08/03/vedovelle/
https://fonderielamperti.com/prodotti/privati/fontane-milano/

 Ing. Paolo Croce- ZED PROGETTI srl

The detail is often more significant than the whole. In fact, it is in the detail that the ‘hand’ of the designer is usually to be found, and its care is equally indicative of the professionalism of those who had to translate the design into work and of those who controlled that this took place.
This approach is found in all expressions of architecture and also in that, unfortunately wrongly considered minor, of street furniture. Yet its presence, care in its definition, correct location and contextualisation as well as its preservation over time is perhaps even more significant, as a work addressed indiscriminately to all, than the level of civilisation and cohesion of a community.
Street furniture presents the place and its history, it helps characterise its essence by giving it a repetitive and strictly distinctive family mark. It is, from a certain point of view, the reunifying factor of an urban design that is already too often disjointed and chaotic, crushed between the extremes of a reactionary motionless conservation on the one hand and a stylistic anarchy on the other, a symptom, in the end, of an intrinsic inability to govern expression within a correct conservation of the genius loci. Urban furniture thus becomes an extra, almost a nuisance that ‘must be given’ and which, above all, will constitute an additional cost item in the local administration’s budget in relation to its maintenance over time and vandalism. A useless and wasteful thing. A bit like public green. A necessary nuisance so as not to find oneself against the votes of radical environmentalists and those who feel the energy in trees.
In this sense, the design of street furniture is becoming more and more neglected, unbalanced between total disinterest and the use of materials at the lowest price with the choice entrusted to the contractor towards the maximum discount or, on the other hand, entrusting it to ultra-expensive designs (or copies of them…) but totally alien to the place where they are placed. In a sort of universal globalisation that, in both cases, becomes, in reality, alienation. Because being in a place that seems to be anywhere is in fact like being nowhere.
These considerations arise from finding (away?), on the seafront of a small town on the Adriatic Sea, a lonely and perhaps somewhat mistreated widow from Milan (article cover photo).

A far cry from its context, this is nothing more than the typical public water fountain of that city. It was born out of a quest for standardisation and typification introduced in 1931-1932 and perhaps based on a model by Arch. Luca Beltrami. Certainly, the first vedovella was placed in Piazza della Scala around 1890, when the aqueduct network was built in that area to a design by Felice Poggi, an engineer for the Milan City Council. Still standing today, it is made of gilded brass surrounded at the base by a mosaic Greek and from which water flows through a dragon’s mouth inspired by one of the Duomo’s gargoyles.
The other fountains are made of cast iron, approximately 1.50 m high and 0.50 m wide. They consist of a turret with a square base, surmounted by a capital with stylised leaf-shaped reliefs and finished with a pine cone element. At the base is a semi-circular basin that was used to water the animals. The name widow’s basin comes from the trickle of water that gushes from the dragon-shaped brass tap continuously, resembling the perpetual weeping of an inconsolable widow. Painted green and with the coat-of-arms of Milan soldered on, they are also often called ‘green dragon’ in reference to the aforementioned tap. So they are not really fitted with a tap but with a brass nozzle with a continuous water jet like, for example, the ‘Nasoni’ in Rome or the ‘Torelli’ in Turin. And like them, they are the symbol of the city.
It is therefore necessary, in the writer’s opinion, to rediscover the taste and the obligation for detailed architectural design that is able to recreate a cohesion and the essence of the context, to rediscover the taste and, why not, also the obligation, for the concept of decorum, not as a ‘moralistic’ vision as an end in itself, but as a unifying element, characterising the place. And specifically that place, its individuality, its style and, as a reflection, the distinctiveness of the community that lives there.